La reperibilità è orario di lavoro? Dipende dal tempo di reazione alla chiamata

Conclusioni dell’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, presentate il 6 ottobre 2020, nella causa C-580/19

Alla luce delle considerazioni svolte, l’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia suggerisce alla stessa Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Giudice del rinvio nei termini che seguono:

«1)      L’articolo 2 della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che, ai fini della qualificazione come orario di lavoro o periodo di riposo delle ore di guardia, il fattore determinante sia l’intensità dei vincoli derivanti dalla soggezione del lavoratore alle direttive del datore di lavoro e, in particolare, il tempo di reazione alla chiamata.

Nel caso in cui il tempo di reazione alla chiamata sia breve, ma non tale da impedire in modo assoluto la libertà di scelta del lavoratore del luogo in cui trascorrere il periodo di reperibilità, possono soccorrere elementi indiziari aggiuntivi, da esaminare complessivamente, prestando attenzione all’effetto complessivo che tutte le condizioni di attuazione in un sistema di reperibilità continuativa possono avere sul riposo del lavoratore.

Tali elementi devono essere riconducibili all’esercizio del potere direttivo del datore di lavoro – e al connesso stato di soggezione del lavoratore, soggetto debole del rapporto – e non derivanti da situazioni oggettive estranee alla sfera di controllo del datore di lavoro.

Essi, in via esemplificativa, possono consistere nel margine di manovra del lavoratore di fronte alla chiamata, nelle conseguenze previste in caso di ritardato o mancato intervento in caso di chiamata, nella necessità di indossare un abbigliamento tecnico per il lavoro, nella disponibilità di una vettura di servizio per raggiungere il luogo dell’intervento, nella collocazione temporale e nella durata del periodo di reperibilità, nella probabile frequenza degli interventi.

Nelle circostanze del caso di specie, i periodi di reperibilità continuativa effettuati da un vigile del fuoco soggetto all’obbligo di essere in grado di raggiungere entro 20 minuti – tempo di reazione non macroscopicamente breve ma neppure all’evidenza idoneo a garantire un effettivo riposo del lavoratore – con gli indumenti da lavoro e il veicolo di pronto intervento il confine della città ove si trova la sua sede di servizio, pur senza precisi vincoli di luogo imposti dal datore di lavoro, potrebbero essere qualificati come «orario di lavoro» nel caso in cui gli accertamenti di fatto rimessi al giudice nazionale verificassero la sussistenza di alcuni degli elementi indiziari che, unitamente alla durata del tempo di reazione, siano tali da non garantire l’effettività del riposo del lavoratore.

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