Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 9775 del 25 marzo 2022
Fermo restando l’onere della forma scritta a pena di nullità quando una delle parti del negozio sia una Pubblica Amministrazione, emergono, però, nella giurisprudenza di questa Corte due orientamenti non collimanti quanto alla necessità, o meno, che il vincolo trovi espressione in un unico documento contrattuale recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti.
Un primo orientamento, dalle origini più risalenti e che muove da Cass., S.U., 29 maggio 1967, n. 1169, afferma che l’esigenza della forma scritta per i contratti con gli enti pubblici “non esclude che il complesso obbligatorio che astringe la pubblica amministrazione al privato possa risultare da un insieme di dichiarazioni scritte oggetto di scambio tra i contraenti, dichiarazioni che nella fase formativa del contratto si atteggiano come proposta e come accettazione tra assenti, così come avviene nella sfera della negoziazione comune” (così, segnatamente, Cass., 14 marzo 1970, n. 675; in senso conforme anche: Cass., 20 giugno 1990, n. 6210 e Cass., S.U., 30 marzo 1994, n. 3132). E’ un filone giurisprudenziale che ha trovato ulteriore e significativa conferma anche più di recente, essendosi ribadito, chiaramente, che il “requisito della forma scritta, richiesta ad substantiam per la stipulazione dei contratti della P.A., nei contratti conclusi con la modalità della trattativa privata, non richiede necessariamente la redazione dell’atto su di un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, ma può essere soddisfatto anche mediante lo scambio delle missive recanti, rispettivamente, la proposta e l’accettazione, entrambe sottoscritte ed inscindibilmente collegate, in modo da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo, perché questa modalità di stipulazione del contratto, generalmente ammessa dall’ordinamento, non è esclusa per tali contratti dalla formula di cui all’art. 17 del r.d. n. 2440 del 1923” (così Cass., 27 ottobre 2017, n. 25631; analogamente: Cass., 21 luglio 2005, n. 15293, Cass., 16 aprile 2008, n. 9977, Cass., 30 maggio 2013, n. 13656). L’indirizzo trae linfa, evidentemente, dal principio, più generale e di risalente enunciazione (a partire da Cass., 2 aprile 1964, n. 719), per cui, alla stregua delle regole generali sulla formazione dell’accordo tra le parti contrattuali (art. 1326 c.c.), “nei contratti a forma vincolata non occorre che la volontà negoziale sia manifestata da entrambi i contraenti contestualmente e contemporaneamente, per modo che il requisito della forma scritta ad substantiam, in caso di sottoscrizioni contenute in due documenti diversi, deve intendersi osservato anche quando la seconda sottoscrizione sia espressa in un documento separato, se questo sia inscindibilmente collegato al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente l’incontro dei consensi nelle suddette forme” (così, in particolare, Cass., 19 novembre 1991, n. 12411, ma già nello stesso senso: Cass., 7 febbraio 1972, n. 282, Cass., 26 marzo 1979, n. 1762, Cass., 20 giugno 1990, n. 6210; successivamente, tra le altre: Cass., 13 febbraio 2007, n. 3088, Cass., 11 luglio 2014, n. 15993, Cass., 24 marzo 2016, n. 5919).
Altro filone giurisprudenziale – maturato in tema di rapporti d’opera professionale con la Pubblica amministrazione (a partire da Cass., 14 marzo 1998, n. 2772) – si muove secondo una prospettiva più stretta. Si ritiene, infatti, che «i contratti con la P.A. devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta e – salva la deroga prevista dall’art. 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 per i contratti con le ditte commerciali, che possono essere conclusi a distanza, a mezzo di corrispondenza “secondo l’uso del commercio” (sempre che, pure in questa ipotesi, non siano necessari accordi specifici e complessi, come di regola accade nel caso di appalto di opere pubbliche) – con la sottoscrizione, ad opera dell’organo rappresentativo esterno dell’ente, in quanto munito dei poteri necessari per vincolare l’amministrazione, e della controparte, di un unico documento, in cui siano specificamente indicate le clausole disciplinanti il rapporto. (così, Cass., 20 marzo 2014, n. 6555; in precedenza, oltre la citata Cass. n. 2772/1998: Cass., 3 gennaio 2001, n. 59, Cass., 3 agosto 2004, n. 14808, Cass., S.U., 22 marzo 2010, n. 6827; più di recente: Cass., 17 marzo 2015, n. 5263, Cass., 22 dicembre 2015, n. 25798, Cass., 17 giugno 2016, n. 12540, Cass., 31 ottobre 2018, n. 27910, Cass., 20 marzo 2020, n. 7478). Dunque, secondo tale indirizzo, è la marcata esigenza di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa che condurrebbe a privilegiare una prospettiva di maggior rigore formale, “permettendo di identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento ai controlli dell’autorità tutoria” (così, segnatamente, Cass. n. 7478/2020, citata).
Come in precedenza evidenziato, il rilascio, da parte del Comune di Roma, dei provvedimenti di concessione temporanea di uso pubblico e di autorizzazione allo scavo in favore di X, si è realizzato secondo la scansione che ha visto, dapprima, quest’ultima società presentare un’istanza nella quale essa dichiarava “di accettare le condizioni e gli obblighi prescritti nel Regolamento Cavi ed in particolare le penali indicate nell’art. 26 del Regolamento medesimo” e, quindi, il Comune adottare gli anzidetti provvedimenti con la specifica indicazione che l’autorizzazione era “rilasciata a condizione che vengano rispettate tutte le leggi e i regolamenti vigenti in materia, con particolare riferimento al Regolamento Cavi, al Codice della Strada ed al Codice Civile (…)”.
La certezza che, invece, garantisce la forma scritta, anche secondo il modello di stipulazione che viene in evidenza nella fattispecie, è quella del testo contrattuale, degli enunciati significanti che segnano il contenuto del rapporto obbligatorio; ed è su tale contenuto – e non già sul significato del testo concordato – che la forma scritta si impone per impedire di ravvisare “margini di opinabilità”.
In questo senso, come peraltro evidenziato nelle già richiamate conclusioni scritte del pubblico ministero, la fattispecie in esame, ove venisse regolata in base all’indirizzo che postula come necessaria la contestualità e, segnatamente, l’unicità del documento che racchiude il regolamento pattizio, patirebbe la conseguenza “di pregiudicare l’assetto di interessi regolato dalle parti in danno della stessa pubblica amministrazione, nonostante l’accordo raggiunto su un’unica disposizione negoziale inequivoca”.
Va, dunque, esclusa la nullità per difetto di forma ad substantiam della convenzione, per cui è causa, stipulata tra Roma Capitale (già Comune di Roma) ed X.
A tal riguardo, va enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di concessione temporanea per l’occupazione di suolo pubblico in favore di un soggetto privato, con contestuale autorizzazione allo scavo, l’istanza del concessionario, con espressa assunzione dell’obbligo di rispettare anche gli impegni relativi allo scavo sanzionati con clausola penale, recepita da un regolamento comunale, per il relativo inadempimento o ritardo nell’adempimento, cui faccia seguito il rilascio del provvedimento amministrativo che richiami detto obbligo, dà luogo ad una convenzione accessiva alla concessione validamente stipulata in forma scritta ad substantiam, in base alla disposizione di cui all’art. 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440».