La richiesta di parere all’Avvocatura di Stato non giustifica il ritardo nella contestazione dell’addebito disciplinare

Consiglio di Stato, sentenza n. 6785 dell’11 luglio 2023

In ambito giurisprudenziale è stato chiarito che se la regola della immediatezza – o, comunque, della tempestività – della contestazione in sede disciplinare deve essere intesa in senso relativo, tenendo conto della ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e la valutazione dei fatti contestati, ciò implica che il ritardo deve trovare una sua specifica giustificazione con riferimento alla particolare situazione accertata o alla particolare complessità delle eventuali necessarie acquisizioni istruttorie (cfr. Cons. Stato sez. II 6 giugno 2022 n. 4608; id., sez. III 11 novembre 2014 n. 5546; id., sez. IV, 7 novembre 2012 n. 5672 e 5 agosto 2003, n. 4535).

Con la locuzione “subito“, usata dall’art. 103, comma 2, d.P.R. n. 3/1957 con riguardo alla tempistica di contestazione degli addebiti, il Legislatore ha dunque inteso riferirsi non già ad un termine prestabilito e vincolante, ma ad un limite temporale ragionevole e non dilatorio di avvio del procedimento disciplinare, la cui congruità va valutata in relazione alle peculiarità del caso concreto e alla dinamica della singola vicenda procedimentale (Cons. St., sez. VI, 27 aprile 2015 n. 2119).

Il tempo di contestazione dell’infrazione deve essere ragionevole e proporzionato all’incidenza e all’eco del fatto, oltre che alla necessità e alla consistenza degli accertamenti preliminari, al fine di contemperare l’esigenza dell’amministrazione di valutare con ponderazione il comportamento del militare sotto il profilo disciplinare con l’altra e concomitante esigenza di evitare che un’eccessiva dilatazione temporale dai fatti possa rendere più difficile per l’inquisito l’esercizio del diritto di difesa e immotivatamente penose la definizione e l’applicazione della misura sanzionatoria (Cons. Stato, sez. II, 12 novembre 2018, n. 1670).

Nel caso di specie, l’Amministrazione appellata ha acquisito conoscenza dell’attività specialistica ambulatoriale in urologia svolta dal dottor -OMISSIS-presso l’A.S.P. di Cosenza nel mese di aprile dell’anno 2018, con l’accertamento definitivo dei fatti alla data del 6 giugno 2018; la contestazione di addebito disciplinare è invece avvenuta solo nel febbraio 2019.

Ora, anche a voler escludere l’applicazione del d.P.R. n. 3 del 1957, come sostenuto dal primo giudice, in considerazione dell’autonomia che caratterizza l’ordinamento autonomo proprio del Corpo dei VV.FF, non vi è dubbio che l’inerzia dell’Ufficio di disciplina, protrattasi per il periodo di quasi un anno, si pone in evidente contrasto con il disposto dell’articolo 37 del CCNL, in virtù del quale “.. la contestazione di addebito deve essere effettuata tempestivamente e, comunque, non oltre 20 giorni da quando l’Ufficio è venuto a conoscenza del fatto”.

Né a diverse ed opposte conclusioni può pervenirsi sulla base del rilievo formulato dall’Amministrazione, secondo il quale il mancato tempestivo avvio dell’azione disciplinare troverebbe giustificazione nel mancato riscontro da parte dell’Avvocatura dello Stato alla richiesta di parere del 20 settembre 2018: invero, se il mancato riscontro da parte dell’Avvocatura alla richiesta del visto parere può giustificare il ritardo nell’avvio dell’azione disciplinare nell’immediatezza della conoscenza del fatto, non altrettanto può dirsi se il lasso di tempo trascorso sino alla richiesta di parere (nel caso di specie avvenuta con nota del 20 settembre 2018, secondo quanto si desume dallo stesso testo del parere dell’Avvocatura, reso il 12 febbraio 2019) protrae l’inerzia oltre un limite che è già in sé superiore a quello previsto in via normativa come congruo per avvio dell’azione disciplinare.

In proposito va, poi, posto in luce che il detto parere non ha, in realtà, apportato alcuna ulteriore conoscenza specifica riguardo ai fatti, né delucidazioni di cui l’Amministrazione non fosse già a conoscenza.

Dalla semplice lettura del parere emerge, infatti, che esso si è limitato nella prima parte (pagg. 1-3) a riepilogare la cronistoria dei fatti e della posizione lavorativa del Dirigente Medico dr. -OMISSIS-, concludendo nella seconda parte – sia pur con formula dubitativa – che l’occupazione dell’odierno appellante presso la ASP di Cosenza avrebbe potuto essere inquadrata “come avente natura di lavoro subordinato”, specificando, a pag. 5, che i medici convenzionati vengono qualificati talvolta dalla giurisprudenza come lavoratori parasubordinati.

In relazione a quanto sopra risulta, dunque, ingiustificato il ritardo da parte dell’amministrazione nel contestare gli addebiti disciplinari al dott. -OMISSIS-, dovendosi ritenere che nulla abbia aggiunto il citato parere ai fatti già conosciuti dal Ministero intimato.

Per le decisive considerazioni sin qui illustrate, assorbite le rimanenti questioni non trattate, l’appello merita di essere accolto,

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