L’illegittimità dell’assegno ad personam impone di repurare l’indebito già erogato, a prescindere dal “recupero nella sessione negoziale successiva”

Corte di Cassazione, sentenza n. 24807 del 18 agosto 2023

La Corte d’Appello di Potenza, in riforma della sentenza del tribunale della medesima città, respinse le domande degli attuali ricorrenti – tutti dirigenti medici dell’ASP – volte ad ottenere l’accertamento del diritto al pagamento dell’assegno ad personam loro attribuito al momento del trasferimento dalle preesistenti e soppresse aziende sanitarie locali, secondo quanto concordato a livello di contrattazione collettiva decentrata aziendale e recepito nell’art. 14 del Regolamento aziendale per la graduazione e l’affidamento delle funzioni dirigenziali. L’Azienda Sanitaria potentina aveva infatti sospeso l’erogazione dell’assegno sul presupposto della riscontrata illegittimità del riconoscimento di un compenso non conforme alle previsioni della contrattazione collettiva nazionale, in violazione della norma imperativa contenuta nell’art. 40, comma 3-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001.

Si deve allora ribadire il già affermato principio di diritto per cui, nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, «la contrattazione integrativa non può riconoscere ai dipendenti un trattamento economico ulteriore che non sia previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, unica abilitata in materia» (Cass. n. 21316/2022; ordinanza pronunciata in controversia del tutto analoga alla presente, alla cui motivazione si rinvia, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per il richiamo delle altre pertinenti disposizioni del d.lgs. n. 165 del 2001).

Per quanto riguarda il meccanismo di recupero della spesa indebitamente sostenuta «nell’ambito della sessione negoziale successiva», esso pone un obbligo aggiuntivo a carico delle parti della contrattazione collettiva, che non smentisce la nullità della clausola della contrattazione decentrata stipulata in contrasto con il contratto collettivo nazionale e quindi si affianca al diritto-dovere della pubblica amministrazione di non erogare la retribuzione pattuita illegittimamente e di recuperare quanto già erogato in esecuzione della clausola nulla. Del resto, il «recupero nell’ambito della sessione negoziale successiva» comporta una collettivizzazione del danno che non può che essere ausiliaria e recessiva rispetto al doveroso recupero nei confronti di chi ha individualmente beneficiato della retribuzione indebita (nello stesso senso, v. Cass. n. 17648/2023, con riguardo all’analoga disposizione dell’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 16 del 2014, convertito in legge n. 68 del 2014).

Infine, la nullità parziale del contratto collettivo integrativo travolge inevitabilmente la corrispondente clausola del contratto individuale di lavoro, con la conseguenza che la pubblica amministrazione ha il diritto e il dovere di non erogare e di recuperare le somme già corrisposte ai lavoratori in forza di quella clausola.

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