Il Piano nazionale anticorruzione (PNA) dell’ANAC è un atto di indirizzo da cui le amministrazioni possono discostarsi, pur motivando congruamente

Consiglio di Stato, sentenza n. 8100 del 31 agosto 2023

Come già chiarito dal Consiglio di Stato (sez. VII, n. 7867/2022), la richiamata delibera dell’A.N.AC., nella premessa della parte III, relativa proprio alle “Istituzioni universitarie”, afferma che “Il presente Piano” ha “natura di atto di indirizzo (non vincolante)”, secondo quanto precisato dall’art. 1, comma 2-bis, della l. n. 190/2012.

Del resto, anche a voler sorvolare sull’utilizzo del termine “raccomandazione”, la delibera raccomanda alle Università di prevedere nei propri regolamenti le misure in discorso, con il corollario che, in mancanza del recepimento delle misure da parte degli Atenei, le stesse non possono trovare diretta applicazione per effetto della loro elencazione ad opera dell’A.N.A.C.; e discorso analogo si può fare per l’atto di indirizzo del M.I.U.R. n. 39 del 14 maggio 2018, che in sostanza altro non fa che sintetizzare i contenuti della delibera dell’A.N.A.C., raccomandando alle Istituzioni universitarie l’adozione di misure simili a quelle indicate dal PNA, nell’esplicitato intendimento di non interferire con l’autonomia statutaria ad esse riconosciuta (Consiglio di Stato, sez. VII, n. 7867/2022).

Ed invero, a fronte di simili previsioni, è evidente che le Università rimangono libere di adottare misure anche diverse, purché idonee a prevenire i rischi evidenziati dal PNA: e l’atto del 14 maggio 2018 costituisce “atto di indirizzo” precisamente orientato nel senso che alle Istituzioni universitarie è implicitamente indicato, quale obiettivo da raggiungere, quello della concreta prevenzione dei rischi che il PNA indica come “rischi tipici” delle loro attività.

Quanto sopra anche per la ragione che le Università devono poter godere di margini di autonomia nell’organizzazione dell’attività amministrativa: infatti, la libertà nella didattica e nella ricerca, garantita alle Università, è strettamente influenzata dalle risorse umane, finanziarie e strumentali di cui dispone l’ateneo, e tali risorse vengono appunto assicurate attraverso molteplici attività di carattere strettamente amministrativo.

Con riguardo, poi, al profilo dell’onere di motivazione, occorre precisare che siffatto obbligo deve ritenersi operante in relazione al Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza e non in ordine ad un regolamento, come quello di ateneo in questione, per il quale l’art. 13 L. n. 241/1990 esclude qualsivoglia dovere per l’Amministrazione di motivare le ragioni delle determinazioni assunte.

Ed invero, la delibera ANAC n. 1208 del 22 novembre 2017, di approvazione del PNA 2017, costituisce, in forza di quanto stabilito all’art. 1, comma 2 bis, della L. 190/2012, “atto di indirizzo” per tutte le amministrazioni pubbliche indicate all’art. 1, comma 2, del D. L.vo 165/2001, e quindi anche per le istituzioni universitarie, “ai fini dell’adozione dei propri piani triennali anticorruzione“. Le misure ivi contenute sono indicate come “suggerite e non imposte”, ragione per cui “Rimane pertanto nella piena responsabilità delle amministrazioni individuare e declinare queste ed altre misure nel modo che più si attagli allo specifico contesto organizzativo, per prevenire i rischi corruttivi come identificati nel processo di analisi e gestione del rischio necessari per l’elaborazione dei PTPC“. Le varie misure indicate sono proposte come un elenco esemplificativo, e non tassativo, di “possibili” soluzioni alle problematiche rilevate ed analizzate dall’ANAC nel PNA, la cui adozione viene “raccomandata” (Consiglio di Stato, sez. VII, n. 7867/2022).

A dover, dunque, essere motivato, in ragione della deroga alle misure raccomandate dall’A.N.AC. non è il regolamento di ateneo, ma il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza del quale non si discute in questa sede.

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