L’accettazione di una carica sociale in una cooperativa non incorre nel regime di incompatibilità assoluta, ma deve essere previamente autorizzata

Corte di Cassazione, sentenza n. 9801 dell’11 aprile 2024

La Corte d’Appello aveva affermato che in relazione all’incarico extraistituzionale in questione il lavoratore doveva chiedere l’autorizzazione al datore di lavoro.

La Suprema Corte, ribadendo la correttezza di quanto sopra, ha dapprima ricordato che l’art. 60 del d.P.R. 3 del 1957 prevede che “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro“, e per la violazione di detto divieto prevede dunque la decadenza dall’impiego, in ragione del regime dell’incompatibilità assoluta (Cass., n. 22188 del 2021).

L’art. 61 del medesimo d.P.R. n. 3 del 1957, stabilisce: “Il divieto di cui all’articolo precedente non si applica nei casi di società cooperative (…)”. L’assunzione di cariche sociali in società cooperative è quindi possibile, stante la finalità anche mutualistica, a prescindere dalla natura e dall’attività della cooperativa.

Si rientra, dunque, nel campo di applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 – che richiama la legge n. 412 del 1991. L’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, a sua volta stabilisce: “Con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale. Il rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale è altresì incompatibile con l’esercizio di altre attività o con la titolarità o con la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con lo stesso (…)”.

In proposito si può osservare che Cass. n. 13158 del 2015 (fattispecie attività prestata da infermiere professionale presso un centro privato convenzionato) ha affermato che il divieto di cumulo di impieghi è previsto, dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 53, primo comma, il quale dispone che per i dipendenti pubblici restano ferme, tra l’altro, le disposizioni di cui all’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, secondo cui con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro.

L’art. 53, comma 7, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, statuisce che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza e, in caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza (Cass., S.U., n. 32199 del 2021). Il carattere retribuito dell’attività extraistituzionale, tuttavia se rileva ai fini del recupero delle somme erogate, non condiziona la necessità di richiedere l’autorizzazione al datore di lavoro.

Peraltro, l’autorizzazione da parte dell’Amministrazione di appartenenza non può essere conferita per “facta concludentia”, avuto riguardo alla sequenza procedimentale prevista dal legislatore (Cass., n. 29348 del 2022).

In conclusione, vanno affermati i seguenti principio di diritto:

L’accettazione di cariche sociali in una società cooperativa, nella specie Presidente del Consiglio di amministrazione di una “società cooperativa sociale”, non incorre nella incompatibilità assoluta di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957, in ragione della deroga prevista dall’art. 61 del medesimo d.P.R. Ciò, tuttavia, non esclude che il lavoratore debba chiedere l’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico extraistituzionale al datore di lavoro.

Trova applicazione l’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, che costituisce disciplina volta a garantire l’obbligo di esclusività che ha primario rilievo nel rapporto di impiego pubblico in quanto trova il proprio fondamento costituzionale nell’art. 98 Cost. con il quale, nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, si è inteso rafforzare il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

Il lavoratore pubblico contrattualizzato concorre all’attuazione della disciplina sulla incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, e la norma di riferimento per quest’ultimo, va individuata nell’art. 53, comma 7, che prende in esame le conseguenze per il lavoratore della mancanza di autorizzazione a svolgere l’incarico extraistituzionale. Il carattere gratuito dell’attività non esclude la necessità della valutazione di compatibilità e dunque dell’autorizzazione, come stabilito dall’art. 53, comma 7, per gli incarichi retribuiti.

In particolare, quanto al Comparto sanità, va rilevato che l’art. 53 richiama l’art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, che tra l’altro stabilisce: “(…) Il rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale è altresì incompatibile con l’esercizio di altre attività o con la titolarità o con la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con lo stesso”.

La mancanza della comunicazione al datore di lavoro, ai fini della valutazione di compatibilità funzionale all’autorizzazione, dell’incarico extraistituzionale consistente nella carica sociale di Presidente del Consiglio di amministrazione di una società cooperativa sociale dà luogo a responsabilità disciplinare.

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