Le sanzioni dell’ANAC nel nuovo codice appalti hanno un reale potere deterrente?

Nel nuovo codice degli appalti le sanzioni che ANAC può comminare sono illustrate all’articolo 222, che delinea il ruolo dell’Autorità.

La novità può essere individuata nella possibilità di comminare sanzioni in genere per violazioni del codice appalti.

Infati al comma 3 lett. a) è stabilito che ANAC nel caso rilevi irregolarità negli appalti, anche nella fase esecutiva, può irrogare sanzioni pecuniarie tra 500 e 5.000 euro. Inoltre al comma 13 sono previste le medesime sanzioni nei confronti dei soggetti che non forniscono ad ANAC dati e informazioni richieste, e nel massimo fino a 10.000 euro per coloro che, a fronte della richiesta di informazioni o di esibizione di documenti da parte dell’ANAC, forniscono informazioni o esibiscono documenti non veritieri.

Nella Relazione accompagnatoria al testo proposto dal Consiglio di Stato, il massimo organo di giustizia amministrativa si esprimeva così in proposito:

Tale integrazione è necessaria tenuto conto del fatto che nel d.lgs. n. 50 del 2016, difetta l’attribuzione in capo all’Autorità di veri e propri poteri d’intervento sul mercato di riferimento. In particolare, l’Autorità è attualmente dotata di competenze essenzialmente “soft”, senza un’incidenza diretta e forte sul mercato vigilato: infatti, dall’elenco delle competenze contenuto nell’art. 213, del d. lgs. n. 50 del 2016 emerge un insieme di attività essenzialmente rivolto verso il referto a favore degli organi titolari di potere decisionale: Governo e Parlamento, oltre che verso gli organi giudiziari muniti di potere inquisitorio/repressivo (Procure della Repubblica e Corte dei Conti). Il potere sanzionatorio, inoltre, risulta debole e limitato all’irrogazione di una sanzione pecuniaria in caso di omessa risposta alle richieste di documentazione e informazioni agli operatori del settore e nel richiamo al rispetto della legittimità, economicità ed efficienza dell’azione procedimentale, ma senza una vera e propria disposizione di chiusura che assicuri il rispetto in concreto di tali principi.

L’art. 213 del d.lgs. n. 50 del 2016 è, quindi, integrato al comma 3, primo periodo, lett. a), con la previsione di uno specifico potere sanzionatorio, esercitato nel rispetto dei principi di cui alla l. 24 novembre 1981, n. 689, in capo all’Autorità nel caso la stessa accerti violazioni del codice. La disciplina dell’esercizio del potere sanzionatorio è rimessa al potere regolamentare dell’Autorità. Per rendere ancora più efficace il potere sanzionatorio si prevede, inoltre, che l’irrogazione della sanzione pecuniaria abbia una ricaduta sul sistema di premialità per la qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all’art. 63. La vigilanza, inoltre, è ampliata sul versante dell’esecuzione dei contratti, in quanto non è più limitata alla verifica del rispetto del principio di economicità dei contratti pubblici e, quindi, diretta ad accertare che dall’esecuzione degli stessi non derivi un pregiudizio per il pubblico erario, ma è estesa alla verifica della correttezza dell’esecuzione tout court dei contratti pubblici.

Nel testo redatto dal Consiglio di Stato, però, il rafforzamento dei poteri d’intervento di ANAC prevedeva sanzioni fino ad un massimo di euro 50.000 per le irregolarità rilevate, ed euro 10.000 a carico del RUP per inadempimento agli obblighi di trasmissione di dati e informazioni alla Banca Dati Nazionale dei contratti pubblici.

Nel testo pubblicato in Gazzetta, invece, come già detto si prevedono sanzioni fino ad un massimo di 5.000 euro per irregolarità e per omessa trasmissione di dati e informazioni, tetto che si alza a 10.000 euro nel caso di trasmissione di dati e documenti non veritieri (dire “falsi” era troppo brutto?).

Anche nell’attuale codice le sanzioni (solo per omessa o non veritiera trasmissione di dati) sono comminabili fino ad un massimo di 50.000 euro.

E’ vero che rimangono i poteri delle Procure per l’accertamento dei reati e della Procura presso la Corte dei Conti in caso di danno erariale, ma la prevenzione della corruzione è nata proprio per anticipare il momento sanzionatorio e per evitare di intasare le Procure con procedimenti che hanno anche un alto costo per la collettività e spesso tempi lunghissimi (fino a dieci anni), per cui non riescono ad intervenire subito a riportare entro la legalità comportamenti illeciti.

Senza voler banalizzare, il confronto con le sanzioni del codice della strada per violazione dei limiti di velocità è impietoso: tali sanzioni arrivano nel massimo a 3.382 euro, più la sospensione della patente da 6 a 12 mesi. Peraltro colpiscono spesso persone fisiche e non società o enti, e non sono “assicurabili”, nel senso che non vi sono assicurazioni che tengono indenni gli automobilisti dal pagamento delle sanzioni al codice della strada. Quindi sicuramente hanno un effetto molto più afflittivo e deterrente le sanzioni per eccesso di velocità, che le sanzioni per le irregolarità negli appalti.

Nel caso delle sanzioni comminate dall’Antitrust, invece, queste sono parametrate al volume d’affari, per cui gli importi non sono gli stessi se si tratta di un piccolo commerciante o di una multinazionale. Nel codice degli appalti, invece, prevedere tali misure come lineari e in cifre assolute, può rendere assolutamente innocuo il potere sanzionatorio di ANAC soprattutto nei confronti delle imprese più grandi e per gli appalti più importanti. Si sarebbe quindi dovuto prevedere delle sanzioni parametrate al volume d’affari degli operatori economici coinvolti o in base all’importanza dell’appalto.

Un’ultima notazione: l’articolo 222 al comma 6 prevede che l’ANAC invia la documentazione alle competenti Procure della Repubblica se le irregolarità hanno rilevanza penale, o alla Procura presso la Corte dei Conti se accerti un pregiudizio per il pubblico erario. Tale disposizione è totalmente inutile e pleonastica, poichè tale obbligo sussiste già per ogni ente pubblico o pubblico funzionario, compresa, quindi, anche ANAC.

Piuttosto si sarebbe potuto prevedere che ANAC, in caso avesse rilevato irregolarità negli appalti, avrebbe dovuto trasmettere i documenti alle Procure e alla Corte dei Conti, senza alcuna valutazione sulla rilevanza penale o contabile dei documenti. Questo è quello che è già previsto, per esempio, per i casi di soccombenza in giudizio da parte delle aziende sanitarie, che hanno l’obbligo di trasmettere gli atti alla Corte dei Conti, senza dover valutare se vi sia o meno un danno erariale.

L’obbligo di trasmissione senza ulteriori valutazioni, fà sì che possano essere attivati poteri che ANAC non ha, o che i documenti possano essere integrati con informazioni riservate di cui ANAC non dispone. 

Sempre in tale ottica, sarebbe stato molto utile prevedere l’obbligo (attualmente invece può essere rilevato tuttalpiù come una facoltà) di trasmissione all’UIF (Unità di informazione Finanziaria, cioè l’unità di controllo antiriciclaggio), proprio perchè spesso tale organo ha informazioni riservate che, una volta integrate con ulteriori documenti, possono condurre a scoprire e/o bloccare reati di riciclaggio del denaro “sporco”.

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