La libera professione non autorizzata rende sine titulo l’indennità di esclusività, con obbligo di restituzione integrale

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, sentenza n. 39 del 21 gennaio 2025

L’indennità di esclusività, prevista dall’art. 15- quater, comma 5, d.lgs. n. 502/1992, che ha rimesso ai contratti collettivi il compito di stabilire “il trattamento economico aggiuntivo da attribuire ai dirigenti sanitari con rapporto di lavoro esclusivo ai sensi dell’articolo 1, comma 12, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nei limiti delle risorse destinate alla contrattazione collettiva”, è un incentivo riconosciuto ai dirigenti medici in ragione del mancato svolgimento all’esterno rispetto all’ente di appartenenza del proprio impegno professionale.


Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza contabile (cfr. ex multis, Sez. II di appello, sent. n. 354/2023 e precedenti ivi citati), tale indennità risulta ancorata a veri e propri automatismi, dovendosi ritenere che l’esercizio della libera professione extramuraria non autorizzata renda immediatamente sine titulo gli incentivi percepiti per l’esclusiva, con conseguente obbligo di restituzione integrale della stessa, a prescindere dall’effettiva sottrazione di energie lavorative all’amministrazione di appartenenza. È ininfluente l’assenza di note di demerito o la constatazione dell’adempimento della prestazione dovuta nei confronti dell’ospedale di appartenenza, trattandosi di circostanze che incidono su altri e distinti profili relativi al corretto adempimento della prestazione principale e non giustificano la violazione dello specifico vincolo.

Nella fattispecie in esame, ritenendo provato lo svolgimento dell’attività professionale nello studio del dott. X per tre anni dal 2021 al 2023, deve ritenersi sussistente la violazione del regime di esclusività, con indebita percezione degli emolumenti ricevuti con tale causale e sussistenza del correlato danno, per tale periodo.

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