Corte di Cassazione, sentenza n. 13500 del 17 maggio 2023
Con il primo motivo l’I.N.P.S. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, conv. con modif. nella l. n. 122 del 2010 e dell’art. 1 della l. n. 243 del 2004 (ndr art. 1 della D.L. n. 234 del 2004), per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto sussistente il diritto del dipendente a rimanere in servizio oltre i sessantacinque anni di età sebbene avesse già raggiunto i requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità.
Il motivo, nei termini formulati e riferito al regime delle cd. “finestre”, è infondato.
L’interpretazione dell’art. 12 cit. d.l. n. 78/2010 deve essere sistematicamente coerente con la giurisprudenza di questa S.C. che ha statuito che il collocamento a riposo d’ufficio del pubblico dipendente per raggiungimento della massima anzianità contributiva (40 anni) prevista dall’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 133 del 2008, richiede, nel regime anteriore alle modifiche apportate dall’art. 16, comma 11, del d.l. n. 98 del 2011, conv. con modif. dalla l. n. 111 del 2011 (come nel caso in oggetto), una motivazione che consenta il controllo di legalità sull’appropriatezza della risoluzione del rapporto rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguita (Cass. Sez. L, 08/01/2021, n. 150; Cass. Sez. L, 06/03/2019, n. 6556).
Orbene, sarebbe contraddittorio nel sistema affermare l’obbligo d’un recesso motivato da parte dell’amministrazione (e, quindi, una cessazione non automatica del rapporto) quando il dipendente abbia raggiunto la massima anzianità contributiva ma non anche i requisiti per la pensione di vecchiaia e, invece, prevedere la risoluzione automatica del rapporto di chi (come l’odierno contro ricorrente) non abbia ancora raggiunto né la massima anzianità contributiva né il diritto alla pensione di vecchiaia (posticipato d’un anno ai sensi del cit. art. 12 d.l. n. 78/2010).