Consiglio di Stato, sentenza n. 2776 del 2 aprile 2025
Secondo la parte ricorrente sia la comunicazione CIG, sia il versamento del contributo ANAC si tradurrebbero, nella sostanza, in livelli di regolazione superiori rispetto a quelli stabiliti dalle direttive UE in materia di appalti, con ciò determinando una violazione del principio di gold plating. Viene al riguardo sollevata, altresì, questione di legittimità costituzionale delle disposizioni primarie che consentirebbero un simile approccio interpretativo ed applicativo.
Osserva al riguardo il collegio che, sulla base di quanto evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza 27 maggio 2020, n. 100:
Come pure rilevato “dall’Adunanza della commissione speciale del Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 1° aprile 2016, relativo allo schema di decreto legislativo recante «Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 gennaio 2016, n. 11» … il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” va rettamente interpretato in una prospettiva di riduzione degli “oneri non necessari”, e non anche in una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri valori costituzionali, in relazione ai quali le esigenze di massima semplificazione e efficienza non possono che risultare recessive».
In questa prospettiva la comunicazione CIG, come si è visto al paragrafo 7 della presente decisione, risponde a fondamentali esigenze di prevenzione da infiltrazione malavitose nonché alla correlata necessità di garantire il buon andamento della PA (art. 97 Cost.) la quale deve poter contrarre e coltivare più in generale rapporti con soggetti che non siano coinvolti in vicende legate alla criminalità organizzata. Esigenze queste le quali comportano determinati adempimenti che, alla luce del chiaro dictum della Consulta, non potrebbero di certo venire meno, per la chiara rilevanza costituzionale dei valori sopra indicati, soltanto per garantire la massima semplificazione a vantaggio di professionisti che comunque si trovano ad operare, traendone un pur legittimo profitto economico, con apparati della pubblica amministrazione;
È infatti innegabile l’esistenza di un “margine di apprezzamento” del legislatore nazionale rispetto a princìpi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall’ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza “nel” mercato e “per” il mercato» (sentenza n. 325 del 2010; nello stesso senso, sentenza n. 46 del 2013)”.
In altre parole: a) il legislatore comunitario non impone l’esclusione dei servizi legali dalle procedure di evidenza pubblica ma lo auspica sebbene con forte accento (l’art. 10 della direttiva 2014/2024/UE afferma infatti che tali appalti “dovrebbero” essere esclusi da tali meccanismi procedurali): b) il legislatore interno si è tendenzialmente adeguato a tale indirizzo eurounitario (cfr. art. 56 codice dei contratti) temperandolo tuttavia con la applicazione di meccanismi di “concorrenzialità minima” o “ridotta” (ossia rispetto dei principi del c.d. “accesso al mercato”); c) tale maggiore concorrenzialità non costituisce violazione del divieto di gold plating, come evidenziato dalla Corte costituzionale; d) tale maggiore apertura comporta in ogni caso un intervento suppletivo di ANAC che, in ogni caso, è autorità che fa parte del sistema di governance in quanto primariamente addetta al “controllo dell’applicazione delle norme sugli appalti pubblici” (cfr. Titolo IV Direttiva 2014/2024/UE nonché artt. 221 ss. del decreto legislativo n. 36 del 2023, specificamente dedicato agli suddetti strumenti di governo del sistema degli appalti pubblici; e) tale intervento suppletivo di ANAC deve pertanto trovare adeguate forme di finanziamento anche da parte di simili contraenti (professionisti che stipulano contratti di appalto di servizi legali con la PA).