Corte dei Conti, Terza Sezione Centrale di Appello, sentenza n. 85 del 3 giugno 2025
La legge 10 agosto 2000 n. 251 all’art. 1 comma 1 prevede che: 1. Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area delle scienze infermieristiche e della professione sanitaria ostetrica svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché dagli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di
La legge n.251/2000 ha assunto un importante cambiamento della professione di infermiere, che è passato dal mero compito di somministrazione del farmaco dietro prescrizione medica (concezione propria della logica mansionistica) a garante della corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico terapeutiche a tutela del paziente (concezione del risultato), in una collocazione collaborativa col medico, ma al contempo antitetica qualora subentri la necessità di tutela del paziente
Il problema dei decessi da errori di terapia (che giuridicamente è qualificato come prevedibile ed evitabile dalla giurisprudenza) richiede da tempo strategie di riduzione del rischio che coinvolgono il processo di terapia nella globalità delle sue fasi. In tale percorso la responsabilità infermieristica trova una prima fonte nelle linee guida professionali, i cui postulati di correttezza dell’agire sono scolpiti nella regola delle 7G(correttezza di farmaco, dose, paziente, via e ora di somministrazione, registrazione, controllo) e pongono ad esclusivo carico della figura infermieristica la responsabilità in caso di terapia e il monitoraggio successivo.
In caso di danno procurato al paziente, dalla responsabilità professionale possono derivare anche quella civile (risarcitoria) e penale. Alle linee guida concorrono i principi del codice deontologico (e nella fattispecie gli articoli 9, 13, 22, 29).
Precisi controlli sulla prescrizione devono essere prestati in merito alla completezza e alla condizione (se cioè subordinata al realizzarsi di un evento futuro).
La giurisprudenza (Cass. Sez. IV sent. 1878/2000 e 2192/2015) ha sottolineato, che è compito dell’infermiere rilevare evidenti inappropriatezze di prescrizione terapeutica, in particolare per macroscopici errori di indicazione del dosaggio, della posologia o prescrizione di molecole cui il paziente è allergico e quindi segnalarle al medico per le adeguate revisioni.
Il panorama di responsabilità dettato dalla Suprema Corte espone l’infermiere ad un delicato ruolo di verifica (ulteriore rispetto al noto panorama delle controindicazioni e degli eventi post assunzione) che risulta contiguo al compito di traduzione di quanto il medico prescrive Nella sentenza n.20270/19 del 13.5.2019 la Corte di cassazione ha affermato il principio che l’atto di somministrazione del farmaco è un atto collaborativo con il personale medico e non un atto meccanicistico al fine non di sindacare l’operato del medico ma di richiamare l’attenzione su errori percepiti o condividere dubbi sulla congruità o pertinenza della terapia stabilita. La non segnalazione di anomalie o di incompatibilità tra farmaco e condizioni o tra la patologia ed il farmaco comportano una responsabilità dell’infermiere circa l’obbligo di cura, assistenza e protezione del paziente che viene prescritta dalle normative citate. (in applicazione del principio la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per omicidio colposo a carico dell’infermiere professionale con funzioni di caposala il quale aveva somministrato un anticoagulante e nel notare tale circostanza aveva omesso di segnalarne l’incompatibilità dell’antibiotico prescritto benché dalla cartella clinica ne risultasse la chiara incompatibilità con l’allergia del paziente della quale l’imputato era ben a conoscenza per ragioni di servizio)
È evidente che la prescrizione dei farmaci resta al di fuori delle competenze infermieristiche e che il ruolo di garanzia che compete all’infermiere nella sfera della terapia farmacologica si limita al confronto con il medico cui è demandata la scelta la cura.
Rientra in questo caso, fra gli obblighi degli infermieri la segnalazione di anomalie che sia in grado di riscontrare o di eventuali incompatibilità fra farmaci o fra patologia ed il farmaco da somministrare o fra particolari condizioni (per es. allergie annotate in cartella o a conoscenza e la cura prevista).
Per questo il legale della parte appellata, la dr.ssa X, nella memoria di costituzione nel giudizio di appello si duole che: È alquanto anomalo che nessuna delle infermiere, che pure sono state indagate dalla Procura Penale, siano state evocate in giudizio, nonostante sia evidente che trattasi di figure professionali, di farmaci chemioterapici iniettata in un flacone più grande e di colore diverso, e nella relazione della polizia giudiziaria si legge che dalla ricostruzione dei fatti l’errore appare evidente e prontamente ammesso.
Parimenti emerge, con chiarezza incontestabile che un semplice errore di trascrizione è passato indenne innanzi a svariate figure professionali di provato valore e competenza. Invero la dose erronea, riportata ovunque, sia sulla cartella clinica cartacea sia su quella informatica, entrambe visionabili in qualsiasi momento da tutto il personale medico e infermieristico. Analogo discorso può farsi per le farmaciste, che di fronte ad una richiesta palesemente anomala (quattro volte la dose massima somministrabile ad un essere umano secondo il protocollo Aida) hanno accettato supinamente una conferma telefonica effettuata da una giovane dottoressa specializzanda.
Infine, come valutare che materialmente hanno somministrato il medicinale in sovradosaggio allorquando sulle confezioni era chiaramente scritto che la IDARUBICINA CLORIDATO aveva il dosaggio di 70 mg Ne consegue che correttamente il giudice di prime sentenza n.77/2021 nel considerare anche il concorso causale delle infermiere ha adeguatamente motivato la riduzione del danno a carico sia della dr.ssa X che della dr.ssa Y rispetto alla richiesta della Procura di un danno di 200.000,00 cadauno a carico delle medesime specializzande. E’ perciò incontrovertibilmente risultato che come già riferito più sopra i due medici specializzandi hanno dato causa finale e diretta con le loro condotte gravemente, quanto ingiustificabilmente, imperite ed imprudenti la loro condotta gravemente colpevole è stata tuttavia favorita da una serie di concause che effettivamente hanno tutte concorso alla causazione del danno letale e che vanno adeguatamente prese in considerazione, a fini di giustizia, pur in assenza di idonea valutazione sul punto da parte della Procura territoriale che ha ritenuto di non citare in giudizio gli ulteriori corresponsabili della incredibile vicenda de qua.