Sull’obbligo di riversamento dei compensi percepiti per attività assolutamente incompatibili, la sezione della Lombardia continua ad essere di diverso avviso rispetto alle Sezioni Riunite della Corte dei Conti

Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, sentenza n. 104 del 23 giugno 2025

La Procura Regionale ha convenuto in giudizio il dott. X, medico in servizio presso l’Azienda Socio Sanitaria con rapporto di lavoro esclusivo nel contesto temporale 2015/2016, per sentirlo condannare – con imputazione a titolo di dolo – al risarcimento del pregiudizio erariale, quantificato in complessivi euro 41.664,88, asseritamente cagionato all’azienda sanitaria di appartenenza in conseguenza dell’intervenuto svolgimento di attività professionale esterna non autorizzata ed incompatibile rispetto al rapporto di lavoro.

Il danno erariale contestato dall’organo requirente ha riguardato il mancato riversamento della somma di euro 41.664,88, percepita dal dott. X, negli anni 2015 – 2016, dalle società cooperative Y e Z. Il mancato riversamento avrebbe costituito pregiudizio erariale ex art.53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001.

Il danno erariale deve essere in questa sede riconosciuto ed addebitato alla responsabilità amministrativa del convenuto, atteso che i proventi sono derivati da attività esterna assolutamente vietata e che risulta provato in atti che le somme non risultano acquisite in conto entrata della ASST del Garda.

Si evidenzia infine che, sebbene l’art.53, comma 7, d.lgs. n.165/2001, nel prevedere la fattispecie tipizzata di responsabilità erariale, richiami soltanto l’illecito svolgimento di “…incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza….”, nondimeno l’ambito di applicazione del divieto di espletamento di attività professionale esterna e la correlata imposizione del riversamento all’amministrazione di quanto percepito, deve estendersi anche alle attività extra moenia assolutamente incompatibili che il dipendente pubblico eserciti, indipendentemente dall’aver ottenuto l’autorizzazione datoriale.

Questa Sezione, pur consapevole che le Sezioni Riunite di questa Corte, con sentenza 1/2025/QM, hanno affermato che L’obbligo del dipendente pubblico di riversare il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte, ex 53, comma 7 e 7-bis del d.lgs. n. 165/2001, si riferisce alle sole situazioni di incompatibilità relativa (incarichi in astratto autorizzabili, ma in concreto svolti in assenza di autorizzazione), ferma restando la risarcibilità delle conseguenze patrimoniali negative per l’erario derivanti dalla violazione del dovere di esclusiva posta in essere con attività radicalmente incompatibili e non autorizzabili”, ritiene di dare continuità al proprio consolidato indirizzo in merito alla quantificazione del risarcimento del danno.

Questa Sezione ha, infatti, sempre affermato che l’ambito di applicazione del divieto di espletamento di attività professionale esterna e la correlata imposizione del riversamento all’amministrazione di quanto percepito, previsto dall’art. 53, comma 7, D.Lgs 165/2001, debba estendersi anche alle attività assolutamente incompatibili

Si evidenzia che sebbene l’attività esterna sia stata svolta nell’ambito di un rapporto tra il dott. X e le società cooperative Y e Z con l’acquisizione della qualifica di socio da parte del convenuto, nondimeno non può trovare applicazione la disposizione contenuta nell’art.61, T.U. n.3/57 a mente del quale l’incompatibilità tra il lavoro pubblico e lo svolgimento di altre attività lavorative sancita dall’art. 60 del medesimo Testo Unico non si applica nei casi di società cooperative, atteso che l’esclusione deve essere limitata alle ipotesi in cui sia intervenuta la semplice acquisizione della qualifica di socio e non le ipotesi, quale è quella all’esame, in cui la qualifica di socio si sia affiancata all’espletamento di prestazioni lavorative retribuite (cfr., sul punto, Cass. Civ., Sez. Lavoro, n.18861/2016). Argomentando in senso contrario il divieto dell’extra-moenia in regime di esclusività lavorativa verrebbe facilmente vanificato, atteso che i sanitari con vincolo di esclusiva potrebbero liberamente svolgere attività professionali esterne utilizzando lo schermo formale della qualifica di socio di una cooperativa.

In ogni caso, come già evidenziato sopra, l’illiceità della condotta del convenuto rileva per non essere stata chiesta e ottenuta l’autorizzazione datoriale all’espletamento dell’attività esterna, con conseguente applicazione comunque dei rigori dell’art.53, comma 7, D.Lgs. n.165/2001.

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