La Suprema Corte insiste (contro le disposizioni dei nuovi CCNL): se il reato in astratto danneggia la PA, neanche con l’assoluzione sorge il diritto al rimborso delle spese legali

Corte di Cassazione, sentenza n. 8683 del 2 aprile 2025

Reputa il Collegio di ribadire – per finalità di nomofilachia – (v. da ultimo Cass. n. 4539 dell’11 febbraio 2022) che l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di farsi carico delle spese necessarie per assicurare la difesa legale al dipendente, pur se espressione della regola civilistica generale di cui all’art. 1720, comma 2, cod. civ., non è incondizionato e non sorge per il solo fatto che il procedimento di responsabilità civile o penale riguardi attività poste in essere nell’adempimento di compiti di ufficio (v. Cass., Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861; Cass. 27 settembre 2016, n. 18946; Cass. 4 luglio 2017, n. 16396).

L’assoluzione, ancorché con la formula ‘piena’, non legittima il richiesto rimborso non risolvendo ex post il conflitto di interessi, in quanto l’indicata formula non consente di ricondurre alla pubblica Amministrazione e ai suoi fini istituzionali l’attività penalmente rilevante che è stata contestata. 

Il principio è stato ribadito da questa Corte, secondo il cui orientamento se l’accusa è quella di aver commesso un reato che contempli l’ente locale come parte offesa (e, quindi, in oggettiva situazione di conflitto di interessi), il diritto al rimborso non sorge affatto, escludendo dunque che esso emerga solo nel momento in cui il dipendente sia stato, in ipotesi, assolto dall’accusa (v. Cass. 2475 del 2019; Cass. n. 18256 del 2018; in termini anche Cass., S.U., n. 13048 del 2007). È stato, in particolare, precisato che, in tema di rimborso delle spese legali, ai sensi dell’art. 28 del c.c.n.l. enti locali del 14.9.2000, l’ente assume in carico ogni onere di difesa dei dipendenti, facendoli assistere da un legale di comune gradimento, nei procedimenti di responsabilità civile o penale connessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti di ufficio, anche a tutela dei propri interessi, sicché presupposto di operatività di detta garanzia è l’insussistenza, da valutarsi “ex ante”, di un genetico ed originario conflitto di interessi, che permane anche in caso di successiva assoluzione del dipendente. 

Nella specie, l’ipotesi accusatoria (poi venuta meno a seguito dell’assoluzione dell’imputato perché “il fatto non sussiste”), lungi dall’essere significativa di un collegamento con i compiti d’ufficio postulava l’esistenza di un conflitto di interessi (il ricorrente è stato imputato di un reato il cui soggetto passivo è proprio la pubblica Amministrazione che è, come tale, legittimata alla costituzione di parte civile, irrilevante essendo che, nella specie, tale costituzione non risulta esservi stata ed assumendo comunque rilievo significativo che l’Amministrazione, per gli stessi fatti, abbia avviato nei confronti del Coletti un procedimento disciplinare), escludendo, nel contempo, che la difesa del dipendente potesse essere riferita alla tutela dei diritti ed interessi dell’Amministrazione medesima; la circostanza che la condotta materiale contestata al ricorrente sia stata posta in essere nell’esercizio delle proprie funzioni di vigile urbano non esclude il conflitto di interessi perché, anzi, contrariamente, qualifica l’ipotesi di reato di cui all’art. 479 cod. pen.

Né, come detto, l’assoluzione con formula piena risolve ex post il conflitto di interessi, in quanto tale formula non consente di per sé di ricondurre alla pubblica Amministrazione e ai suoi fini istituzionali l’attività penalmente rilevante che è stata contestata al dipendente.

(cfr anche su questo blog: Spetta il rimborso spese per il patrocinio legale ai dipendenti in conflitto di interessi, ma assolti? E i CCNL?)

Comments are closed.